Il Messaggero 3 aprile 2020 - Codice della crisi, dopo il rinvio la riscrittura - La crisi da Covid-19 e l’impatto sulle procedure concorsuali. Il decreto liquidità vuole evitare che il nuovo Codice entri in conflitto con l’attuale difficoltà economica

Il Messaggero 3 aprile 2020 - Codice della crisi, dopo il rinvio la riscrittura - La crisi da Covid- 19 e l’impatto sulle procedure concorsuali. Il decreto liquidità vuole evitare che il nuovo Codice entri in conflitto con l’attuale difficoltà economica

  • Icona data inserimento news 1 luglio 2020

Panzani, esperto di diritto fallimentare, già presidente di Corte d’Appello: nuovo slittamento della normativa, dal febbraio al settembre 2021. Concesso più tempo alle imprese per procedere alla ristrutturazione


La disciplina delle procedure in materia di crisi ed insolvenza d’impresa è cambiata in misura rilevante in tutto il mondo per effetto della crisi provocata dal Covid- 19 e dalle misure di lockdown che sono seguite. La prima conseguenza – spiega Luciano Panzani, già Presidente della Corte d’appello di Roma, esperto di diritto commerciale e fallimentare – è stata la decisione, adottata con il decreto 8 aprile 2020, n. 23 (c. d. decreto liquidità) di rinviare di un anno, sino al 1 settembre 2021, l’entrata in vigore del nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza. Le ragioni, come chiarisce la Relazione illustrativa, sono molteplici. Anzitutto la necessità di differire la novità più significativa del codice, il nuovo siste- ma di allerta diretto a sollecitare una più immediata presa in considerazione da parte delle imprese dei primi sintomi di difficoltà, per provocare l’adozione di opportune contromisure. In una situazione di crisi generalizzata era evidente l’inopportunità di far entrare in funzione il sistema dell’allerta, che avrebbe riguardato un numero troppo rilevante di imprese e non avrebbe portato alcun beneficio. Vi era il rischio che l’entrata in vigore immediata potesse causare una reazione di rigetto contro un istituto che, in futuro, in condizioni di ripristinata normalità potrà produrre effetti benefici. Va peraltro detto che già l’art. 41 dello Schema di Correttivo licenziato dal Consiglio dei Ministri il 13 febbraio 2020 rinviava al 15 febbraio 2021 l’entrata in vigore degli obblighi di segnalazione nell’allerta, incombenti sugli organi di controllo e di revisione, nonché sui creditori pubblici “qualificati”. Il provvedimento ora adottato è più radicale perché riguarda l’intero codice e non la sola allerta.

La Relazione illustrativa

La Relazione illustrativa sottolinea che la filosofia di base del nuovo Codice, di consentire la ristrutturazione delle sole imprese in grado di recuperare la continuità aziendale, prevedendo per tutte le altre la liquidazione, confligge con la situazione generale di crisi innescata dalla pandemia. Si aggiunge che era inopportuno imporre a giudici, professionisti ed imprenditori in un momento di grande difficoltà l’impiego di uno strumento nuovo, un codice di quasi 400 articoli. Meglio avvalersi di uno strumento collaudato quale la legge fallimentare del 1942. La Relazione illustrativa osserva che in questo modo gli operatori avranno un anno in più a disposizione per approfondire le novità della riforma, integrata con il decreto correttivo il cui schema, come si è detto, è stato approvato dal CdM sin dal 13 febbraio. Non risulta che nelle more le Commissioni parlamentari abbiano licenziato il prescritto parere né che il decreto sia in corso di emanazione. Il termine della delega previsto dalla legge 20/2019 (due anni), è abbondante, quindi vi è ancora tempo per l’emanazione del correttivo. Il Governo dovrà approfittarne, come avverte la Relazione illustrativa, per adeguare il Codice alla Direttiva UE 1023/2019 in materia di ristrutturazione delle imprese. Per quanto il codice non contrasti nelle sue linee fondamentali con la Direttiva, vi sono molte disposizioni che richiedono una messa a punto.

La provvisorietà di alcune misure

Verosimilmente – spiega ancora il magistrato Panzani – sarà necessario un adeguamento più incisivo. Come vedremo trapoco, infatti, le nuove misure in materia di crisi e di insolvenza che il legislatore ha emanato con il decreto liquidità (ed altre è possibile che seguiranno) cambieranno sensibilmente il quadro della disciplina dell’insolvenza. Alcune di queste misure avranno durata provvisoria. Altre verosimilmente potranno essere prorogate. Più in generale l’economia italiana e mondiale che uscirà dalla crisi pandemica sarà molto diversa da quella che abbiamo conosciuto. Queste differenze potranno portare a rivedere in profondità la disciplina del Codice a cominciare dalla limitazione del concordato in continuità alle sole imprese che possono vantare la prevalenza della parte di impresa che prosegue rispetto al totale delle attività, oltre che della discussa assimilazione delle nozioni di continuità e prevalenza con il mantenimento dell’occupazione, nonostante sia nozione di comune esperienza che la ristrutturazione passa in genere attraverso la riduzione dei posti di lavoro. Vi è forse un pericolo maggiore, che possa prevalere il partito di coloro che sono stati ostili al rinnovamento della nostra disciplina concorsuale, argomentando dai guasti provocati dalla fretta nella redazione e dal susseguirsi di interventi modificativi ad opera del Parlamento e dei Governi che nelle more dell’approvazione del testo si sono succeduti. Sarebbe un peccato se il Codice ed i nuovi istituti, tra cui l’allerta e la disciplina dei gruppi di impresa, venissero abbandonati. Vediamo ora le novità introdotte dal decreto liquidità, che, va ricordato, dovrà essere convertito in legge. E’ ben possibile quindi che le norme introdotte possano essere modificate dal Parlamento.

La redazione del bilancio

Gli artt. 5 e 6 del d. l. intervengono sui principi di redazione del bilancio e sulle norme che vietano agli amministratori delle società di capitali di proseguire l’attività in caso di patrimonio netto negativo. Quanto al bilancio l’art. 2423 bis prevede che la valutazione delle varie voci di bilancio sia fatta nella prospettiva della continuazione dell’attività. È evidente che sia le norme in tema di bilancio che quelle che vietano di proseguire l’impresa ove sia stato perso il capitale sociale avrebbero un effetto distruttivo per le imprese colpite dalla crisi Covid. Sarebbe impossibile valutare le imprese in prospettiva di continuità quando esse di fatto, per il regime di lockdown, non farsi luogo al fallimento (art. 10 l. fall. ) ed ai fini del calcolo del termine di decadenza (art. 69 bis l. fall. ) per l’esercizio dell’azione revocatoria (tre anni dal fallimento e in ogni caso cinque anni dal compimento dell’atto). Non si deroga invece ai criteri di calcolo del c. d. periodo sospetto”. L’unica eccezione all’improcedibilità delle istanze di fallimento si ha nel caso in cui l’istanza sia presentata dal P. M. e questi chieda la pronuncia di provvedimenti cau- telari o conservativi ai sensi dell’art. 15, ult. co. , l. f. come il sequestro d’azienda. Si è osservato da molti che la maggior tutela assicurata al solo P. M. pare ingiustificata, perché anche i creditori potrebbero far valere esigenze cautelari analoghe a quelle prese in considerazione per il P. M. che ha comunque a sua disposizione anche il sequestro penale quando ne ricorrano i presupposti. Soprattutto si è criticata l’esclusione del diritto del debitore di chiedere il proprio fallimento, misura che a differenza della generale sospensione del potere di chiedere il fallimento, non è stata adottata da altri Paesi ad eccezione della Grecia. Appare insostenibile la posizione dell’imprenditore che sia consapevole che non vi sono possibilità di proseguire l’attività e che ugualmente non possa ricorrere al fallimento, misura che rappresenta anche una forma di tutela dalle azioni esecutive che possono essere promosse dai creditori. Va però aggiunto, come avverte la Relazione illustrativa, che l’imprenditore non rischia in questo caso la responsabilità penale per bancarotta semplice da aggravamento del dissesto prevista dall’art. 217 n. 4 l. fall. per non aver richiesto il fallimento. In realtà, come pure avverte la Relazione, questo divieto di chiedere il proprio fallimento tiene conto delle grandi difficoltà dei tribunali ad operare normalmente in condizioni di lockdown. Si è voluto ridurre il carico degli uffici. Si tratta di una difficoltà reale, ma va avvertito che è indispensabile che gli uffici giudiziari siano messi al più presto in condizioni il più possibili normali. La Giustizia è una delle funzioni fondamentali dello Stato e la battaglia contro la pandemia non può prescindere da una giustizia efficiente ed operativa.

Il concordato preventivo

L’ultima serie di interventi prevista dal legislatore con il decreto liquidità riguarda la disciplina delle procedure di concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione. Alla base di questi interventi sta la considerazione che la crisi da Covid ha reso impos- sibile redigere un piano di ristrutturazione perché nessuno può prevedere quali saranno le condizioni del mercato nei prossimi mesi. Di conseguenza i piani posti a base dei concordati e degli accordi di omologazione pendenti o già approvati sono ormai obsoleti e si rende necessario permettere all’imprenditore di formularne di nuovi. Se la procedura è già stata omologata, i termini di adempimento che scadono tra il 23 febbraio ed il 31 dicembre 2020 sono senz’altro prorogati di sei mesi. Deve ritenersi che con il termine “adempimento” il legislatore abbia fatto riferimento non soltanto ai pagamenti, ma a tutte le attività che debbono essere poste in essere in esecuzione del piano omologato (ad esempio la restituzione di un immobile). Quando il giudizio di omologazione sia ancora pendente e l’imprenditore debba soltanto modificare i termini di adempimento previsti dal piano, può presentare senz’altro una memoria con i nuovi termini, purché non superiori a sei mesi rispetto a quelli originariamente previsti. Il Tribunale approva purché ricorrano le condizioni per l’omologazione anche con riferimento ai nuovi termini, senza che sia necessario riconvocare i creditori e farli votare nuovamente sulla proposta.

La riformulazione del piano

Quando poi si renda necessario non sol- tanto rivedere i termini di adempimento, ma riformulare il piano, si permette all’imprenditore di presentare al Tribunale domanda per la concessione di un termine in tal senso, non superiore a no- vanta giorni. Il Tribunale deve assegnare il termine che non è prorogabile. La legge aggiunge comprensibilmente che l’istanza non è ammissibile se in sede di adunanza dei creditori non erano state raggiunte le maggioranze di legge. L’approvazione della proposta di concordato prescinde tuttavia dal voto dei creditori che non sono riconvocati per una nuova votazione, nonostante la legge precisi che può trattarsi non soltanto di un emendamento del vecchio piano, ma di un nuovo piano e di una nuova proposta. Nel caso dell’accordo di ristrutturazione occorrerà, naturalmente, per le caratteristiche proprie di questa procedura che sul nuovo contenuto del piano si sia raggiunto il consenso dei creditori aderenti, che costituisce elemento essenziale del procedimento. Infine l’art. 9 del decreto legge prevede che nei concordati con riserva e nelle procedure di omologazione degli accordi di ristrutturazione in cui l’imprenditore ha chiesto al Tribunale la concessione del termine per la presentazione del piano, sia possibile chiedere una proroga ulteriore rispetto a quelle già possibili prima di questa riforma e ciò anche nel caso, prima escluso, in cui siano pendenti istanze di fallimento. L’imprenditore deve indicare le ragioni che giustificano la proroga con riferimento ai fatti sopravvenuti per effetto dell’emergenza epidemiologica Covid. 19. Il Tribunale concede la proroga, sentito il commissario giudiziale, quando ricorrono concreti e giustificati motivi che nella maggior parte dei casi consisteranno nella difficoltà e/o impossibilità di redigere il piano. È possibile – conclude il magistrato Panzani – che in sede di conversione del decreto legge o nel nuovo decreto previsto per il mese di aprile (ora maggio) a queste misure altre se ne aggiungano. Il legislatore pare aver escluso la possibilità di una generale sospensione dei termini di adempimento delle obbligazioni contrattuali o una deroga al generale principio di risoluzione dei contratti in caso di inadempimento (si tratta di misure che sono state introdotte in qualche ordinamento e che, quanto alla moratoria, erano state previste dalla legislazione d’emergenza emanata nel 1915 a seguito della Prima guerra mondiale) nel timore che tali misure possano rappresentare un incentivo a non pagare, secondo cattive abitudini purtroppo frequenti in passato. Si discute, oltre che di ulteriori sostegni al credito ed alla liquidità, di attenuazione della responsabilità degli amministratori di società per l’attività gestoria in questo difficile periodo e, ugualmente, di limitazioni di responsabilità delle banche per concessione abusiva di credito e/o concorso in bancarotta con riferimento all’attività di finanziamento delle imprese.

IL LEGISLATORE HA RITENUTO INOPPORTUNO IMPORRE A GIUDICI, PROFESSIONISTI E IMPRENDITORI L’AVVIO DI UNO STRUMENTO NUOVO IN UN MOMENTO DI GRANDE CRISI

RICERCA REDAZIONALI

1. La consultazione del materiale redazionale avviene con il semplice inserimento di una parola chiave nel campo "Titolo" o "Sottotitolo".

2. Non inserendo nessuna parola e cliccando sul tasto "TROVA" si visualizzeranno tutti gli articoli pubblicati.


RICERCA RAPIDA
Privacy Policy Cookie Policy